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Sergio Viotti Guest Coach al Knox College

Courtesy of Matthew Wheaton/The Register-MailQuest’estate ha avuto un sapore particolare per coach Viotti.

All’interno del progetto “International Coaches Exchange”, infatti, coach Sergio è partito alla volta di Galesburg (Illinois) per una full immersion di 10 giorni nel coaching staff dei Prairie Fire (Midwest Conference, NCAA Div. III).

Abbiamo chiesto a Sergio qualcosa sull’esperienza, la sua intervista è un capolavoro da leggere tutto d’un fiato.

 

D: Da dove è nato il progetto che ti ha visto come “Guest Coach” al Knox College?

 

S: L’iniziativa parte dalla Fidaf, e il progetto si chiama “International Coaches Exchange”. 

Previa candidatura dei diretti interessati, ogni anno vengono selezionati degli allenatori italiani che, per circa due settimane durante il mese di Agosto, potranno seguire il lavoro di preparazione al campionato di una squadra di college di Terza Divisione NCAA.

Le modalità sono chiare: l’allenatore italiano si fa carico delle spese di viaggio e assicurazione, mentre il college provvede al vitto e alloggio.

Nel mio caso specifico ho contattato il referente dell’iniziativa, Fabrizio Cupellini, che in tempi brevissimi mi ha messo in contatto con l’head coach Damon Tomeo, di Knox College: da lì l’acquisto del biglietto è stato praticamente immediato!

 

D: 10 giorni sono certamente pochi, ma quali sono le cose che ti hanno maggiormente colpito di questa esperienza?

 

S: Elenco in ordine sparso, dimenticandomi sicuramente qualcosa:

 

– L’estrema disponibilità di tutti e chiunque: a partire dal coaching staff fino ad arrivare al custode (non è uno scherzo: Marvin Cooper, il custode, è un vero personaggio!). 

Partiamo ovviamente da tutto il coaching staff: a partire da coach Tomeo, un vero vulcano di personalità e profondo conoscitore del gioco, tutti i coaches mi hanno subito accolto come uno di loro coinvolgendomi in tutto quello che facevano. Mi bastava chiedere e subito apparivano schemi, testi, video, dimostrazioni…

Ho anche avuto la fortuna di incontrare persone davvero speciali, come Harley Knosher, una leggenda a Knox college: in quarant’anni di carriera sportiva al college è stato allenatore, direttore sportivo e motivatore.

Un signore d’altri tempi, che nel stringermi la mano si è dichiarato “onorato di conoscermi”, per poi illustrarmi la piccola ma affollatissima Hall of Fame di Knox college.

Blaise Winter, ex-giocatore NFL e amico di coach Tomeo. Blaise organizza seminari per insegnare il suo metodo “Hand Combat” per le linee di difesa sviluppato dalle arti marziali: in un attimo mi sono trovato dal chiacchierare sulla sua filosofia di pass rush all’avere un braccio completamente bloccato da un suo movimento di Rip!

 

– La grande professionalità del coaching staff: in preseason la giornata per loro inizia alle 7 (l’head coach è già in piedi da due ore) e finisce intorno alle 21. L’unica vera e propria pausa per i coaches sono i venti minuti in mensa (dove ovviamente si parla di football…).

In ufficio si lavora molto intensamente tra filmati, riunioni di reparto e pianificazioni di allenamenti, ma ogni occasione è buona per scambiare battute.

Sento già il commento: “bello sforzo, loro vengono pagati!…”. 

Vero, ma non del tutto: due coaches di reparto ad esempio sono part-time, e non ricevono alcun compenso se non i pasti in mensa. Senza contare le ore effettivamente lavorate: uno degli assistant coaches mi ha confidato che un coach di college football in sei mesi ha già accumulato tante ore di lavoro quante ne fa un dipendente tradizionale in un anno…

Inoltre, un coach diventa anche una sorta di “genitore adottivo” per i ragazzi, e mette a disposizione la propria casa e il proprio tempo al di fuori del college per ogni problema o necessità dei ragazzi (incluso telefonare a ognuno dei genitori quando uno di loro la sera prima ha ribaltato l’auto con quattro compagni di suadra dentro: giorno tre del mio soggiorno…).

 

– La disciplina dei ragazzi: Knox college, mi spiegava coach Tomeo, è riconosciuto principalmente per i suoi meriti accademici. I ragazzi della squadra non avranno una carriera sportiva post-universitaria.

Nonostante questo la loro concentrazione nelle riunioni e in campo è totale: sanno esattamente quando è il momento di staccare la spina per fare due battute e pochi secondi dopo riattaccarla.

Vorrei che la premessa fosse chiara: questa è una squadra di terza divisione NCAA con un record nella stagione passata di 5-5, e i ragazzi che la compongono non diventeranno MAI professionisti. Nonostante questo si applicano come se il loro futuro fosse legato a doppio filo al risultato della prossima stagione.

 

– L’intensità di allenamento: per sua stessa ammissione, l’head coach ha un metodo di allenamento MOLTO intenso, ma né il coaching staff né i ragazzi si lamentano, anzi ne vanno fieri. Si muovono di postazione in postazione sapendo esattamente cosa fare. In due ore di allenamento in campo non c’è MAI un momento di inattività. 

E attenzione, la vecchia scusa “è da quando hanno 5 anni che lo fanno” vale fino a un certo punto: i rookies, in totale una ventina, hanno messo piede nel campus per il loro primo allenamento un giorno dopo di me, e come me non sapevano assolutamente cosa li aspettasse. Schemi, tecniche, metodo di allenamento erano nuovi per loro come lo erano per me. 

Dopo soli due giorni avevo difficoltà a distinguerli dai veterani: sapevano dove andare e cosa fare, semplicemente osservando con attenzione i loro compagni.

 

– La semplicità e l’efficacia nel trasmettere nuovi concetti: ogni informazione “complessa”, che sia una nuova tecnica o un nuovo schema, è frazionata in elementi più semplici. Si parte da questi per costruire una nuova tecnica o un nuovo schema, e grazie a un gran lavoro di coordinamento ogni coach di reparto sa che quello che sta spiegando si integrerà con quello del suo collega.

Probabilmente sto perpetuando luoghi comuni, ma solo quando vivi questa esperienza in prima persona ti rendi conto di quanto siano veri: organizzazione e disciplina in questo sport sono tutto.

 

D: Tra queste, quali porterai senz’altro in Italia e ai Daemons?

 

S: …Tutto quello che ho imparato!

Scherzi a parte: ho moltissimo materiale, ma mi rendo conto che sarebbe stupido pretendere di riversarlo così com’è sui nostri giocatori.

Penso che la cosa migliore sia partire dal piccolo, cominciando ad introdurre elementi di metodologia di allenamento e tecniche che secondo me possiamo tranquillamente integrare, per poi integrarli nel tempo con elementi più complessi.

Oltre a un “ingrediente segreto” che vorrei introdurre da subito e che non non voglio rivelare.

 

D: C’è ancora tanta differenza a livello tecnico e atletico tra noi e gli americani? 

 

S: Difficile a dirsi avendo visitato una sola realtà, ma secondo me la differenza a livello atletico è minore rispetto a quella tecnica.

Certo, per quanto riguarda la differenza atletica sto confrontando due realtà molto diverse: una con ragazzi in cui la forbice di età è al massimo di quattro anni e l’altra, quella senior del nostro campionato, in cui questa forbice è molto più ampia. 

Senza considerare che, contrariamente agli USA, da noi lo sport è da sempre considerato quasi una distrazione, o nel migliore dei casi un “premio” da togliere prontamente nel momento in cui i ragazzi abbiano difficoltà a scuola.

Gli studenti-atleti (così vengono definiti) a Knox college hanno un supporto specifico per bilanciare impegno accademico e quello sportivo, supporto che si spinge fino a fornire loro agende specifiche che facilitano la gestione dei due impegni.

Per quanto riguarda la differenza tecnica secondo me abbiamo enormi margini di miglioramento, ma mi conforta aver notato come non siano necessarie ore e ore per installare una nuova tecnica. Come dicevo prima, tutto sta nella concentrazione con cui ci si allena.

La differenza più profonda (e per ragioni culturali a mio avviso la più difficile da trasferire) è di carattere organizzativo. Certo, le strutture a disposizione in un college come Knox sono MOLTO più avanzate rispetto alle nostre (anche se ad esempio la nuova sala pesi, così come gli arredi degli uffici dei coaches sono frutto di donazioni di ex-allievi), ma sinceramente mi hanno colpito molto di più la mentalità e l’atteggiamento di ognuno. E quelli non costano nulla.

 

D: Alcuni tra i più grandi giocatori NFL del passato, per esempio Jerry Rice (Mississippi Valley State) e Steve Mc Nair (Alcorn State) provengono da college di terza divisione: per quello che hai visto al Knox College, la storia si ripeterà?

 

S: Non penso, anche se sono rimasto davvero impressionato dal DE, Jordan Anderson: un Senior di 22 anni che non arriva al metro e settanta e pesa circa 105-110Kg. Ha una velocità di gambe e mani incredibili. Ma è il suo ultimo anno a Knox, dopodiché lo aspetta una carriera di documentarista sportivo.

 

D: Consiglieresti questa esperienza anche ad altri coach del panorama italiano?

 

S: Sì, senza dubbi. L’unico avvertimento che mi sento di dare è che è indispensabile andare armati di un ottimo inglese, soprattutto tecnico: quando si parla di football l’entusiasmo prende il sopravvento, e un semplice commento come “…ho notato che usate la quarters…” si trasforma immediatamente in un clinic di venti minuti da bere tutto d’un fiato. 

E vi assicuro che in queste situazioni non volete perdervi neanche una parola!

 

 

Grazie mille Sergio e complimenti per l’esperienza vissuta!

 

 

Forza Daemons

 

 

Foto cortesemente offerta da Matthew Wheaton/The Register-Mail

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